POESIA “VENDEMMIA IN CHIANTI” DI AGOSTINO VIERI
Agostino Vieri nato a
Greve in Chianti il 5/10/1911 e morto a Firenze il 12/11/1983, era il
figlio del tipografo Fornaretto Vieri, che diresse a Greve, il
giornale “Il Chianti”, e poi a Firenze, fu redattore del
periodico agricolo “La Terra”.
Agostino, scrittore di
poesie e racconti, con la poesia “Vendemmia in Chianti” vinse il
secondo premio al Concorso Nazionale di poesia bacchica, amorosa e
guerriera svoltosi a Siena il 18 agosto 1937.
Vendemmia in Chianti
Sorge nel ciel l'aurora
persichina
tra un coccolar di galli
escubiatori,
sfumano stelle languide
in sordina
come trame di sogni
incantatori
E giù, dal casolar, per
la collina
ombre festanti di
vendemmiatori
vagan sommerse da una
verde trina
d'annose viti cariche di
umori.
Chi con canestro e di
falcetto armato
e chi con gerla o con
bigoncia o cesta
sale cantando al rezzo
imbambolato
da un'uzza fresca e
pregna di foresta.
Occhieggiano tra pampini
sbrecciati
spose rubeste e vecchie
attorcolate,
garzoni asprigni, uomini
atticciati,
ragazze aduste ghezze e
scollacciate.
Con fiori in petto e con
ghirlande in testa.
Uva neroccia o bionda
vellutata
pilucca ognuno e stacca e
non si arresta
finchè la gerla non ha
ricolmata
Di stelleggianti
grappoli. Una festa
di trilli sacri a valle
un cigolio
lento lento di carra rode
e pesta
tra ritmico soave
chioccolio
D'acque fulgenti
virginali e stanche.
Come fantasma curvo
arrandellato,
con occhi cilestrini e
chiome bianche,
segue il capoccia vecchio
accidentato
L'andar de la vendemmia
entusiasmante
Ei sogna calmo un mar
d'incantamenti,
di vaghe rimembranze, un
folgorante
nembo fuggente
d'innamoramenti.
Sbocciati ai dì felici
tra le fronde
cupe e silenti delle
tamerici
come calde risate di
gioconde
bocche procaci di
stornellatrici.
Rubbola un bue su la gran
callaia
giganteggiando al sole
mattutino,
ferve la sagra rusticana
e gaia
dal fondo immane di un
enorme tino
Dove l'uva si accalca e
si comprime
sotto le piote ignude di
un garzone
alto e gagliardo, contro
al ciel sublime,
come rovere antico
all'aquilone.
Quali formiche, attratte
da sentori
di succolento cibo
abbandonato,
d'ogni parte ver lui i
vendemmiatori
sciaman con passo greve e
misurato.
E quivi giunti ad uno ad
uno il carco
che li affatica lascian
traboccare
nella bocca del tino e
insieme, ad arco,
indi tornan né campi a
vendemmiare.
Cantan rispetti,
strambotti e stornelli,
vecchie canzoni di secoli
morti,
vecchie passioni con
spine e coltelli,
gioie e tristezze di
spiriti forti.
Due fra costoro si dànno
la baia,
intanagliati da un amor
rivale,
per bella donna
giovinetta e gaia
simile a bianca rosa
virginale:
“Io ti vorrei portare
in Paradiso
tra gli Angeli che
adorano il Signore;
quando la notte sogno il
tuo bel viso
mi pare che 'l sangue mi
tremoti il cuore”.
“E lo mio amore è come
il nostro vino
e chi l'assaggia non lo
può scordare;
è come a primavera il
biancospino
solenne in chiesa in cima
all'altare”.
“Fior di gaggìa,
chi spasima per te
convien che muoia,
bella sirena, sei la mia
malìa.
E gira e fai la ruota
la ruota alla fontana
io ti farò mia sposa e
mia sovrana”.
“Fiorin di grano,
sgrondai del sangue
contro l'abissino,
ma pel tuo amore mi farei
pagano.
E gira e fai la ruota
la ruota del falcone
senza di te il mio cuore
è una prigione”.
Ella sorride, ascolta
trepidante,
e a mezza voce modula un
rispetto:
“Quando, partendo, mi
dicesti addio
d'angoscia un pianto mi
serrò la gola;
e come il poverello
innanzi a Dio
per te, mio amor, non
ebbi una parola.
Io t'ho seguito in mezzo
a la battaglia
e ti difesi con le mie
preghiere;
con te ho dormito sotto
la mitraglia
e al sol rovente ti dètti
da bere.
Ti vidi a terra rimaner
ferito
e ti vegliai con palpiti
immortali;
l'Italia chiamò suo
figlio ardito
e la Vittoria ti porto su
l'ali”.
E a garganella ognun
trangugia vino
di quello che fa perdere
il messale
ai prete e à frati e al
nostro contadino
scambiare un solco per un
carnovale.
fonte: "Poesie" Tomo I a cura di Carlo Baldini
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